Maurizio Galimberti al Circolo Fotografico Milanese

Assistere a una serata con Maurizio Galimberti è entusiasmante non solo per la creatività, l’originalità e la precisione geometrica di cui sono pervase tutte le sue opere, ma anche per il suo modo di raccontarsi, per la sua capacità di catturare l’attenzione del pubblico con aneddoti dal tono sempre leggero, ma da cui si evince una grande preparazione e cultura fotografica, e non solo.

Ci ha mostrato i suoi ritratti da cui si evince il richiamo al fotodinamismo di Bragaglia e la ricerca del ritmo, del movimento.

I suoi famosi mosaici li crea non solo per ritrarre volti, ma anche paesaggi, architetture e città. Con la visione di queste immagini ci spiega la sua intenzione a creare un’alternanza equilibrata tral’emozione per la composizione, la ricerca del ritmo di cui i Mosaici sono un esempio, e una propensione verso il particolare, la scena intima da riprendere e immortalare la cui resa è rappresentata da un unico scatto, ovvero dalla singola polaroid. I suoi lavori sul paesaggio, sulle città e sullo spazio che caratterizza queste ultime, alternano questi due punti di vista, queste due differenti modalità di raccontare una stessa realtà.

Alla domanda se si fosse ispirato a David Hockney per i suoi mosaici, ribadisce:“Non sono David Hockney che taglia la realtà con le forbici, io porto la realtà in una dimensione che sta tra il Futurismo e Duchamp. Nella mia realtà vado da un punto all’altro e quando mi muovo c’è sempre un salire e scendere, un ritmo”.

“La mia è una fotografia molto fisica, quando realizzo i ritratti mi appoggio alla persona, con le architetture scatto rapidamente, utilizzando sempre una sequenza, il mio movimento si può definire una danza per fotografare. Per quanto riguarda le incisioni sulle Polaroid, queste rendono il risultato un’opera unica, e qui le mie contaminazioni derivano più dal cinema, Wenders, Rossellini, Antonioni: considero le mie incisioni e manipolazioni un modo per far entrare nella fotografia la mia energia e la mia fantasia”.

Con nostra sorpresa, Galimberti ci rivela che si ispira anche a Robert Frank, un fotografo americano che ha documentato con i suoi reportage l’America e i suoi simboli. La sua, però, è un’ispirazione più a livello progettuale. “Quando ha realizzato ‘The Americans’, Frank ha trovato qualcosa di diverso da quello che si aspettava e che gli avevano detto di fotografare, io non posso pensare oggi ciò che voglio fotografare domani, altrimenti non fotografo la realtà. Io realizzo spesso tributi a fotografi e artisti, per far capire che interagisco con la loro visione, che il loro lavoro, in qualche modo, mi ha influenzato”.

Possiamo affermare che nei lavori di Galimberti c’è sì la progettualità, ma anche un forte senso estetico, e l’autore ce lo conferma con questa dichiarazione: “Picasso veniva definito un anti esteta, ma con il passare del tempo ci si è resi conto che la sua leggerezza, il suo equilibrio, erano estetica. Nelle mie fotografie c’è un forte rigore estetico, ma ho anche molto rigore progettuale. Con il passare degli anni, naturalmente, il mio lavoro si è modificato, ma la mia progettualità rimane coerente perché io per primo mi devo riconoscere”.

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